Nel sangue c’è il biomarcatore che prevede il rigetto post trapianto

I ricercatori dell’Università di Pittsburgh hanno analizzato campioni ematici di pazienti che avevano ricevuto un rene nuovo. L’indicatore del funzionamento delle cellule che accendono o spengono la risposta immunitaria è alla base del rischio

Si chiama rigetto. È quella condizione che si verifica quando il sistema immunitario di un paziente che si è sottoposto al trapianto aggredisce il nuovo organo perché lo riconosce come corpo estraneo alla pari di batteri o virus. Sono tre le tipologie conosciute: il rigetto iperacutoacuto e cronico. Il primo, che può verificarsi entro pochi minuti dall’intervento, rappresenta la forma più rara grazie ai progressi compiuti nella selezione tra donatori e riceventi. Il secondo si può manifestare dai cinque ai dieci giorni successivi all’operazione se il paziente non sta assumendo farmaci immunosoppressori, può avere effetti prolungati ed essere trattato con la plasmaferesi. Il terzo, quello cronico, manifesta la perdita di funzionalità del nuovo organo e costringe il paziente a sottoporsi a un nuovo intervento.

 

Uno studio condotto all’Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, ha individuato nel sangue il biomarcatore che consentirebbe di prevedere con largo anticipo questo rischio dopo il trapianto di rene. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine.

 

Ad oggi per identificare questa condizione a seguito dell’intervento chirurgico vengono effettuate biopsie di sorveglianza invasive o altri tipi di strategie che hanno però un valore predittivo piuttosto limitato. Da qui l’importanza dell’aver individuato il biomarcatore. Si tratta dell’indicatore del funzionamento delle cosiddette “cellule B regolatorie”, ossia delle cellule immunitarie che accendono o spengono la risposta dell’organismo.

 

Per raggiungere questo risultato, i ricercatori statunitensi hanno raccolto campioni di sangue di 339 pazienti che, tra il 2013 e il 2015, si sono sottoposti al trapianto di rene. Tra coloro considerati più a rischio di rigetto, questa condizione si è manifestata nel 91% dei casi entro il primo anno. Tra coloro a rischio più basso solo nel 10%. Ma come è stato possibile stabilire le possibili reazioni del sistema immunitario attraverso l’esame delle cellule B? Nel corso dello studio, i ricercatori hanno visto che queste cellule secernono due molecole: l’interleuchina 10 e il TNF (il fattore di necrosi tumorale). Il rapporto tra queste due molecole fornisce l’indicazione dell’attività delle cellule B, così da individuare immediatamente se un paziente è più a rischio rispetto a un altro.

 

Il fatto di aver individuato nel sangue un biomarcatore con queste capacità predittive, consente di intervenire farmacologicamente per ripristinare il sistema immunitario ed evitare che il rigetto si manifesti.

(fonte articolo Avis Nazionale)

 

 

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